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Antonio Vangelli
Antonio  Vangelli - La festa della vita
 

di Armando Verdiglione (estratto)

La festa della vitaL'incontro con Antonio Vangelli appartiene al miracolo. Quando le cose, dicendosi, si fanno. E la hall di un albergo diviene la piazza della civiltà.
L'incontro, nonostante l'impossibile. Già la seconda volta. Senza, propriamente, una prima volta.
Nessun bisogno di zoologia né della sua variante, la genealogia.
Le cose si dispongono per acquisire una luce unica. La scuola romana? La scuola europea? Oppure la scuola del Mediterraneo?
Antonio Vangelli è, da solo, bottega, dispositivo. E ciascuna volta trova interlocutori, instaurando subito un dispositivo. Per fare. Per dipingere.
Per scrivere. Per comunicare. Senza riserve né mediazioni. Senza compromessi né risentimenti. Senza affanni né indugi.
Antonio Vangelli non è mai in un tempo che possa essere creduto presente. La sua gioia non è mai raffigurabile nei termini del qui e ora.
E l'avvenire sta dinanzi. Per nulla affetto da negatività o da positività.
Il gioco, e l'invenzione corrono, fra il corpo e la scena, lungo la fiaba, la favola, le storie, il racconto, il romanzo, la poesia, l'apologo, la parabola, la scrittura.
Antonio Vangelli si sente investito da una missione civile, elaborando, integrando, scrivendo ciascuna cosa,
in una rarefazione linguistica scandita in direzione dell'unicità del suo caso.


Attraversiamo il corridoio dell'albergo, quando Antonio Vangelli s'imbatte in una bellissima giovane donna.
Lui la saluta gioiosamente. E lei fa altrettanto. Avvicinandosi, quasi con un lievissimo passo di danza.
Poi, procediamo verso la sala del ristorante, fino al tavolo, dinanzi al grande terrazzo. Chi era la giovane donna?
Chi era quel signore anziano, che si appoggiava di tanto in tanto alla stampella? Solenne, aristocratico, nobile.
Qualcosa di antico e di assolutamente nuovo. E ciò che avviene si inscrive nell'originario. Senza origine e senza conoscenza.
Antonio Vangelli e la giovane donna non si conoscevano, non si erano mai conosciuti, non si conoscono qui, ora. Per ciò l'incontro.

E l'intervallo non viene occupato né spazializzato. E il tempo non ha bisogno di essere erotizzato. L'incontro avviene nell'infinito della parola. Come un azzardo.
E per un caso. Secondo la necessità non ontologica. L'altrove delle cose sta nella parola, che si scrive.

L'incontro con Antonio Vangelli instaura già il dispositivo del miracolo e della sua scrittura. Nulla di terrestre.
Nulla di mondano. Nulla, propriamente, di umano, cioè di funzionale alla morte.
Ciascun elemento è preso nell'intellettualità che è della parola: nulla al di fuori della parola, nulla di spaziale, nulla di concettuale.

Antonio Vangelli provoca, questiona, profetizza, sorprende, trae nel dispositivo delle galassie, nel dispositivo del suo cielo e del suo paradiso.
Antonio Vangelli intellettuale? Sì, per la qualificazione del suo itinerario. Egli non è affatto sfiorato dal discorso occidentale quale discorso della morte.
Antonio Vangelli parla e dipinge. Parla e scrive. Dipinge e scrive. Parlando e dipingendo, scrive.

Al terzo piano della casa, dove egli vive, dipingendo quindi scrivendo, lontano da ogni rumore e procedendo da una solitudine insituabile che diviene la condizione stessa della vita, Antonio Vangelli viaggia, lungo il cammino artistico e lungo il percorso culturale, in una direzione che si stabilisce man mano.
Egli attraversa città e colline, pianure e montagne, oceani e galassie. Paesaggi che si scrivono. Paesaggi di scrittura. Scrittura dei paesaggi.
Nulla di naturale. Nulla di sociologico. Nulla di psicologico.
I nove quaderni, che Antonio Vangelli mi dispone su un tavolo, al centro di una stanza angusta, sono grandi e meravigliosi.
E costituiscono una prova assoluta di scrittura.
Al confronto, i quaderni di Leonardo da Vinci sembrano esercizi provvisori, per quanto trovino compimento nel suo testo.

Qui, il compimento è in ciascuna pagina. Quaderni ipertestuali e ipergalattici. Quaderni di cifra. Quaderni del pictor cifraticus.
Oltre la characteristica. E anche quella che egli chiama composizione rientra nella cifratica del paradiso. Dove anche l'aforisma vale la galassia.
Se la meta è irraggiungibile per un inadeguamento assoluto, il traguardo stesso riveste un interesse apparente.
Antonio Vangelli s'interessa alla corsa, alla partita, al dispositivo della corsa e della partita, alla scrittura della corsa e della partita, anziché, propriamente, al traguardo. E lo sbaglio, l'incidente, l'errore risultano indispensabili al suo itinerario. Indispensabili all'arte e all'invenzione.

Anche l'inciampo dà adito a una scrittura nuova della memoria. La filosofia di Antonio Vangelli è senza ontologia. Saggezza e qualità.
Stile e dispositivo intellettuale.

La chiamiamo impropriamente filosofia: idioma e struttura, che si scrive. Combinatoria intellettuale. Verso la cifra. Anziché verso la sintesi.
Anziché verso la semiologia delle cose. La festa della vita è la festa della parola originaria. Anziché luogo della funzionalità della morte all'economia discorsiva.

E non c'è più predestinazione. La provvidenza sta nell'innegabile intervento del colore dello specchio, del colore dello sguardo, del colore della voce, condizione del viaggio acosmico di Antonio Vangelli. Sicché Roma non è caput mundi, ma l'aeroporto e il palinsesto delle galassie, come pure la loro cifra.

La sfera è impossibile. Impossibile pure la conoscenza. Per ciò Antonio Vangelli dice che essa appartiene all'uomo preistorico. In breve, non c'è più conoscenza.
Non c'è più metempsicosi. Non c'è più metamorfosi tra un animale e l'altro. Il viaggio fra le galassie è intellettuale, e non già cosmologico.

Antonio Vangelli qualifica lo stesso viaggio di Cristoforo Colombo come cosmonautico: Colombo "viaggiava sulla terra, come l'uomo si traslocava da una galassia all'altra". Anche il viaggio degli angeli è acosmico, e non già antropologico. "L'opera d'arte è la complessità delle galassie".

Anche il paesaggio delle galassie si dipinge e si scrive sull'infinito della vita, che è la parola. "Non c'è distanza tra l'infinito della vita".
Antonio Vangelli è intellettuale cosmonauta e cosmografo. Nell'acosmia. Nella sfera impossibile. Nella quadratura impossibile.

Incontriamo Antonio Vangelli nel suo museo presso la Villa San Carlo Borromeo. Le sue opere costituiscono il giardino delle galassie.
Per altro, egli definisce l'uomo "il giardiniere della vita". "Mio padre mi ha insegnato a vedere l'entità". In che modo? Ciascun artista "ha una luce unica".
E inoltre: "Solo la mediocrità esclude la luce". E qual è "la parte buia di noi"? Qual è "la parte buia dell'uomo preistorico"? "
La parte buia è la conoscenza di quello che era e che oggi non sai. Tutto quello che noi sappiamo è che non sappiamo niente".
La parte buia è la traccia immemoriale, modo del due, modo dell'apertura: il bene e il male, il positivo e il negativo stanno alle nostre spalle e costituiscono l' ossimoro,
il modo della relazione, non si situano dinanzi a noi. Invece, l'ideologia che abita spesso nei discorsi delle avanguardie è gnostica: colloca il male e il negativo dinanzi.

Al posto dell'Altro e dell'avvenire. Ciò che Antonio Vangelli dice, dipinge, scrive procede dal suo iperuranio, dallo stracielo. Nulla di negativo lungo l'itinerario.
Nessuna alternativa alla cifratica della pittura. Nessuna alternativa alla salute. Né al piacere. Né alla verità. Né al riso.
La tenebra, o il nulla: ciò di cui si tratta e ciò senza cui non s'instaurerebbero né l'ombra, modo dell'inconciliabile della relazione, né il non, né quindi lo zero.

E imprendibile, intoccabile, invisibile è il colore, condizione appunto del viaggio. Teologia impossibile quella di Antonio Vangelli.
E oltre la mistica. "Non voglio conoscermi". Impossibile, infatti. "La natura non è perfetta". È "uno scontro di elementi contrapposti, d'infiniti alberi rotti, sfasciati".
E il vento spira. Una foglia dall'albero si stacca. Segue con il vento il suo ritmo. Poi, sembra poggiarsi. Poi, l'altro vento la riprende. "Certo, non sono atterrato.

Di questa terra forse non riesco a recepire molto. Perciò resto sospeso e non atterro completamente". E la vita è un concerto:

Antonio Vangelli si sente compositore, direttore d'orchestra e regista. "Non sono io che opero". Con proprietà. "Dio guarda la sua attività anche con il dubbio".
Dio come fede. Dio come idea. Dio come operatore, perché la pittura della vita si scriva.
E Dio stesso procede dal dubbio, dal modo dell'inconciliabile, dal modo del due, dall'ironia. "Anche Fidia aveva il dubbio".
Le maschere, il circo, i ponti, gli arlecchini, la città, la guerra, la bomba atomica, il terremoto, il cataclisma, la torre di Babele:
il viaggio procede dal dubbio e secondo la propria logica. "Cammino con le gambe mentali".

O piuttosto: intellettuali. "Se fai cento bottiglie, occorre che le metti in gioco, in modo che costituiscano un concerto". Il concerto della vita.
La festa della vita. Fino alla sua qualità. "Mentre Morandi faceva bottiglie, io facevo maschere". Antonio Vangelli è un maestro unico, molto più che straordinario.

Ha disturbato sempre il primo delle avanguardie, ovvero ha sfatato l'ordinale e l'ordinario, ha edificato la propria avanguardia, l'itinerario e la sua scrittura.
E ciascuna cosa, oggi distribuita nei musei pubblici e privati, fa parte del suo testo: dalla trama, propria alla traccia immemoriale, alla rete sintattica, alla tela frastica,
al tessuto e alla sua qualificazione, al film pittorico. E la festa segue il suo timbro. Come la firma segna il compimento e la cifratura.

Senza competizione e senza concorrenza, come nota Enzo Nasso, che di lui scrive: "Se non usasse più i pennelli, le spatole, i colori, potrebbe dipingere con un gesto della mano, con un giro degli occhi, dotato com'è d'infiniti strumenti d'invenzione. […]

Il libro d'arte "Antonio Vangelli. La festa della vita", a cura di Fabiola Giancotti, Spirali/Vel, è disponibile al sito dell'editore

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