Sandro Trotti  
 
 
 
 
 
 

La Celebrazione della Vita

di Armando Verdiglione (estratto)

Questo testo è tratto dal libro d'arte "Sandro Trotti. La celebrazione della vita", edizioni Spirali/Vel

Sandro Trotti è uno degli artisti intellettuali del pianeta. Ben quotato in Europa, in America, in Cina, in India e in Giappone, in Australia, a Singapore e in Nuova Zelanda, in Israele e in Tunisia, in Egitto e in Russia. E diverrà quotatissimo.

La sua opera è apprezzata e letta da scrittori, artisti, scienziati. Alcuni suoi lavori si trovano nelle collezioni e nei musei del mondo intero. Indipendente dalle ideologie e dalle mode delle epoche che si sono succedute dagli anni cinquanta a oggi, Sandro Trotti segue il suo itinerario scientifico, intellettuale,
da maestro. Da sovrano maestro. Con lui la Scuola di Roma si definisce, si precisa, si qualifica, si valorizza, si propone al terzo millennio, caratterizzandolo, scrivendolo nel proprio testo.

Questo libro d’arte accoglie opere che specificano le varie e differenti fasi del suo viaggio. La memoria, l’edizione, il valore: il museo e il libro d’arte consacrano, nella perennità e internazionalmente, la sua opera. Sicché il testo Sandro Trotti si chiama ormai La celebrazione della vita.

Anzitutto, la collina: Monte Urano, da dove si vede il mare. Da Monte Urano a Porto San Giorgio. E dai colli di Roma a Venezia. “L’idea del mare mi ha sempre affascinato”. E l’opera dimora oltre la fascinazione: cielo, barche, mare, onde. A questo proposito, Pericle Fazzini scrive: “Dall’orizzonte, ogni giorno, all’alba, appare il sole, come un’immensa arancia”. Pericle Fazzini nota la poesia di Sandro Trotti.

E io, da oltre quindici anni, interrogo e leggo le sue opere. E lo incontro. Ironia, umorismo, motto, riso. L’allegria. Nessun vittimismo. Nessuno spettacolo della sofferenza. Nessuna rappresentazione della morte. L’ossimoro vita-morte non si risolve mai nell’alternativa da porre dinanzi per una scelta possibile.

Sandro Trotti non ama la clonazione delle opere. E nota come ciò che fa entrare nel circuito commerciale un pittore è la ripetizione all’infinito di una forma. Per Sandro Trotti vale il disagio come virtù della vita: “lo spazio del disagio”. E ancora: “Nella pittura non si può fare tutto: bisogna fare l’essenziale”.

Monte Urano. La collina. La collina intellettuale. La collina della pittura come scrittura. La collina del processo intellettuale. La collina del processo
di valorizzazione della vita. Monte Urano: l’istanza del valore. Del valore intellettuale. Della qualità intellettuale. La salute stessa.

“Mio padre, capomastro, adoperava la cucchiara, io adopero la spatola”. E l’adopera, senza più il principio psichico del risparmio energetico. Attenendosi all’essenziale. Alla particolarità e allo specifico. E procedendo dall’equilibrio. Dall’ossimoro come modo dell’apertura. E la condizione sta in ciò che è causa, provocazione.

Il ritratto risponde al modo in cui la pittura diviene scrittura. Nessun fantasma di rappresentazione delle cose, che è il fantasma stesso della padronanza. Ossia, nessuna idea di un accesso diretto a Dio, all’oggetto, al tempo, all’avvenire. “Forse sento molto la figura femminile”. Ma senza l’estetica resa personale o sociale. Senza vergogna né pudore. Donna. Donne. Il disegno, il modo del tempo, il modo della scrittura pragmatica. Per astrazione.
L’enigma della differenza. La telecomunicazione.

“Non abbiamo il sentimento della perfezione”. Né sentimento né pathos: la perfezione resta l’esigenza del compimento di ciò che si scrive per qualificarsi. “Non sono nel concettuale: io sono nella neofigurazione ante litteram, prima della neofigurazione neorealistica”. Inconcettuale è la vita. Inconcettuali pure l’oggetto, l’arte e l’invenzione. Inconcettuale la memoria. Nessun naturalismo. Nessun realismo politico.

Il disagio non è mentale, ma intellettuale. Disagio della parola. Una virtù, come l’originario. “Io sogno il bello e lo massacro come atteggiamento dei nostri tempi”: ma tutto ciò che, nell’ideologia delle avanguardie, presume d’introdurre il male nella pittura per economizzarlo sotto l’idea del bene e dietro la volontà del bene viene qui analizzato, esplorato, indagato e trasposto, perché gli elementi della parola siano elementi di valore artistico e culturale.

La carne. L’incarnazione del colore. Impossibile cognizione. Colore imprendibile, invisibile. Eppure, condizione. Obscurus. Ostacolo a qualsiasi presa.
Il colore stesso procede dall’ombra, indice dell’inconciliabile della relazione. Bianco-nero, positivo-negativo, l’ombra. L’ombra che non si proietta sul viaggio e non lo offusca.

Il labirinto e il paradiso non subiscono la biforcazione, l’oscillazione e l’alternativa fra chiaro e scuro, non si rappresentano la difficoltà e l’ostacolo nell’ombra posta dinanzi. Già il Beato Angelico lo aveva notato e scritto nella sua pittura. La sua indicazione è stata raccolta da Leonardo da Vinci anche nella Cena.

“Dal Gianicolo, specie nelle ottobrate, le cupole grigie di Roma e le chiese si riflettono e diventano di madreperla”. Niente contemplazione e niente visione.
Le Marche: i poeti, gli artisti, i musicisti. I fiumi, la città. I monti. La collina. La partitura. Lo spartito. Procedendo dalla diagonale del cielo, ecco i ruderi,
le colonne, le statue, l’eternità della città che si scrive. L’infinito attuale della città.

E le cose si narrano. Senza più nulla di animato né di automatico. Quindi senza surrealismo. Mirabile lezione del rinascimento e dell’industria della vita. Nessuna autobiografia: l’elemento di vita è elemento di valore. E nulla è circolare. Vladimir Maksimov nota: “nessuna bellezza da salotto”; “nulla di geometrico”; “forse il vento percorre le sue tele”; “nelle composizioni astratte di Trotti non c’è nulla di astratto”; Sandro Trotti è “un grande italiano e un grande artista”. E Maksimov conclude: “Per il russo Malevič il mondo è una tragedia, per Trotti è una festa”.

Sandro Trotti è moderno, quindi classico, tanto da non avere bisogno d’intrupparsi in nessuna avanguardia. Oltre l’impressionismo: Sandro Trotti indica quanto l’impressione debba al rinascimento della parola. Impressione. La scrittura di ciò che si fa con ingegno.

Oltre l’espressionismo. Sandro Trotti indica come la scrittura della memoria sia essenziale alla sua valorizzazione. L’espressione, l’imprendibile della scrittura e del suo compimento. La pressione. La stessa tensione verso il valore intellettuale. E risultano sospesi, inesorabilmente, il fascino, lo stupore,
la passione, la sentimentalità, la magia, l’ipnosi. Il viaggio si narra, cioè si scrive. Senza più l’idea della fine.

Bachisio Bandinu scrive: “È una pazzia inseguire i colori di Trotti per farne una rispondenza al reale o per giustificarne una logica naturalistica.
Sono colori dell’invenzione”. Il colore lascia singolare triale l’oggetto. Nessuna pluralizzazione dello specchio, dello sguardo e della voce. Nessuna popolarizzazione e nessuna nazionalizzazione del colore. E ancora, Bachisio Bandinu precisa: “Nessuna pretesa di dominio e di possesso, perché l’Altro non può essere escluso”. Quindi neppure il bello della differenza può essere escluso. Come non lo è il bello della contraddizione, quando le cose incominciano,
nella loro autorità.

Bachisio Bandinu aggiunge: “A Trotti non interessa la faccia. Nessuna fisiognomica. Non c’è la faccia bella né la faccia tosta. Manca l’espressione psicologica per un campionario di soggetti”. La fisiognomica appartiene alla parata soggettiva. Soggettiva è anche la parata sociale. In tutta la sua convenzione.
Nel testo di Sandro Trotti nulla è caricaturale.

Il corpo in gloria è il corpo della parola: corpo e scena della parola. Quindi, della vita. La relazione. Il bello della contraddizione. Il bello della differenza sessuale. L’enigma: niente più sfinge. Nord e sud, corpo e scena: dall’apertura intellettuale procede la loro combinazione attraverso l’intersezione di oriente e di occidente, d’invenzione e di gioco, di cultura e di arte, di macchina e di tecnica.

A suo modo, Alberto Moravia nota come l’arte di Sandro Trotti non possa prescindere dalla sessualità. Che resta intellettuale. Dal rinascimento. Se ne accorge il giapponese, dinanzi al bello dell’Italia. Se ne accorge il cinese. E la sessualità risulta senza erotismo, che appartiene alla demonologia.
La sessualità, la politica del tempo. Dell’altro tempo. La politica dell’Altro. La politica dell’ospite. E la sua scrittura. Ciò che si fa non si scrive e non si comunica se non si vende. Il tempo nell’avvenimento. Il tempo. L’avvenire.

Il tempo nella pittura rinascimentale sorprende il giapponese, sorprende il cinese. La grammatica di Sandro Trotti. E la sua stessa programmatica procede dalla diagrammatica. Il nudo, senza più il principio del piacere quale principio di morte. Il velo, senza più nascondimento. L’opera di Sandro Trotti è incompatibile con la spettacolarizzazione universale, con il regno del visibile, con il mondo in tutte le sue visioni.

Nessun universo. Nessun soggetto alla morte. Il cielo, il mare, la città, la terra, la donna: l’opera di Sandro Trotti non può essere ricondotta ad unum.
Anzi, ciascuna volta, con ciascuna opera: il segno nella sua tripartizione è la base della scrittura dell’esperienza.

Vele, reti, tele, impossibili gabbie, schermi e pareti, arnesi e sagome, la materia delle silhouette, le barche, i legni, la materia della festa, le onde della vita.
Il ritmo. La piegatura delle cose. Ancora Roma. Ancora Venezia. Ancora Porto San Giorgio. La città non è umana né antropomorfica. Non è il luogo della funzione di morte. E già Luigi Montanarini (1955), a suo modo, notava nell’opera di Sandro Trotti il tempo nella sua violenza e nella sua rapina,
il modo del tempo, il disegno pragmatico, il disegno scritturale, il disegno cifratico.

Leggete, del 1952, Bambino: il crocefisso rovesciato, la terra con il suo squarcio e la sua scrittura. Forse l’erba, quasi l’acqua, l’erba che non è erba,
l’acqua che non è acqua, la strada che precede l’orizzonte, il corpo non è estensione e la scena non prospetta il figlio gioioso. Nessuno spettacolo né del sacrificio né della sofferenza.

Avete, ora, dinanzi, del 1955, Nudo: la combinatoria linguistica offre lo splendore del ritmo. Nulla si rappresenta. Nulla s’immagina. E le cose si dicono.
Fino alla saga. Quando il nero (obscurus) indica da dove proceda la condizione della luce.

Ancora del 1955, altro Nudo. I colori non fanno mai la colorazione né l’illuminazione. Nulla concedono alla realtà convenzionale o immaginata. I colori indicano come la combinatoria trovi la sua condizione nell’incarnazione. Paesaggio cifrale. Viaggio di qualità. Scrittura acustica.

Sempre del 1955, Cellophane. In quanti registri si compie la scrittura? La registrazione sfata il campo della fisica, come pure il territorio, in cui la burocrazia spazializza la città e l’ambiente. Che proceda dalla verticalità dà alla forza il suo dispositivo direzionale. E i personaggi si dileguano con la loro ombra e il loro pettegolezzo codificante.

Del 1956 è Argani. La partitura della vita risalta dalla divisione inalgebrica quanto ingeometrica. E la catena non ammette la sovrapposizione.
La traccia della vita. Senza fondamento. Senza ritorno. Senza origine né ereditarietà.

Ancora del 1956, Marina. Il cielo, il mare, la terra, l’impalcatura, i sentieri e i bordi, la corda e il filo, l’impossibile tempistica, il legno e la vela: ciascuna cosa dimora nell’arca. E l’imbarcazione risponde al processo di formalizzazione della ricerca e dell’impresa.

Sempre del 1956, Donna. Né sentimento né erotismo. La sessualità esige la trasposizione, come il parricidio e il figlicidio esigono, rispettivamente,
la traduzione e la trasmissione. Qui la tensione linguistica pervade l’annunciazione. Dove l’angelo trae ciò che si vende verso la cifratura.
Il bello della pornografia, il bello della stenografia del piacere, il bello di ciò che si valorizza perché si vende.

Del 1957, Alberi. Botanica impossibile, quindi fantastica. Come le cose si formalizzano quando le arti e le invenzioni s’intersecano per qualificarsi.
Nessuna rottura dell’insegnamento e della tradizione: l’atto di memoria è l’atto stesso della sua scrittura.

Ancora del 1957, Segni. Sono scritture che scommettono con il programma di vita. E anche le immagini sono formali perché videomatiche
e perché sfociano nell’inimmaginabile. L’altra faccia del rinascimento è l’industria. E la sessualità è la proprietà dell’industria. Senza rappresentare uomini e donne nella loro possibile significazione della differenza.

Il Paesaggio marchigiano (1957) disegna e scrive il paradiso fino alla superfluenza propizia alla soddisfazione, nonché al compimento di ciò che si scrive di ciò che si fa. Senza più illuminismo. Il giardino del tempo dimora nell’intervallo della vita. Paesaggio originario, anziché d’origine,
quando l’astrazione serve la via pragmatica della gioia.

Leggete Case in costruzione (1959). La casa, la città: anche il ritmo procede dalla cartografia impossibile e s’indirizza al valore. La verticalità è il cielo stesso: giuntura e separazione. La relazione. La cifra della pittura come scrittura non è contabile. In nessun modo l’espressione può canalizzarsi:
questa è l’espressione, con cui mai, con Sandro Trotti, può erigersi un ismo.

Ecco gli Assi cartesiani (1959, 1960, 1961, 1962): l’alto e il basso, senza la linea e senza il cerchio. Il positivo e il negativo come ossimoro,
variante dell’ironia. Qui, ancora: il corpo e la scena. La traccia dissipa ogni determinismo, cioè ogni psicosi.

E ancora, Cellophane (1960): anche l’infinito attuale e l’eternità come proprietà del tempo procedono dall’apertura originaria.

Del 1962, Chicchi di riso: fra l’umorismo e il motto di spirito, l’epigramma rilascia “la conclusiva brevità” (Leonardo da Vinci).

Del 1962, Cosmogonia: scacco dell’astrofisica, vanificazione del principio di ragione sull’Altro, assenza di conflitto. L’intersezione di oriente e di occidente procede da nord e sud, dall’inconciliabile della relazione. Nessuna esplosione e nessuna implosione: nessuna raffigurazione algebrica o geometrica
del tempo. La luce segue il tempo nel processo di glorificazione.

Del 1963, Cerchi: invece del cerchio, la verticalità. E, dinanzi, non è mai propriamente il nero, come non è mai propriamente il bianco. Bianco-nero, l’ossimoro. E la spirale è la rivoluzione delle cose verso il valore intellettuale del viaggio. E già vale il teorema: nulla circola.

Del 1963, Strisce: ancora la verticalità, ancora la combinatoria, ancora la tensione intellettuale. E non c’è più concetto. E non c’è più personaggio.
E non c’è più soggetto. L’avvenimento attiene al tempo secondo l’aritmetica.

Leggete Crates, del 1964. Come introdurre il tempo nelle galassie? Quali sono i sentieri e i bordi, il filo e la corda del viaggio transoceanico e transgalattico? Quale la partitura e quale la cifratica degli intermundia? Come la dimensione della parola resta intellettuale, anziché spaziale?

E ora spingetevi a leggere Raffaella, del 1965: come si scrive l’avvenimento? Come si effettua l’evento? L’espressione non libera la parola dalla scrittura, ma della scrittura della parola indica l’insottomissione al discorso della padronanza. L’espressione è la scrittura in quanto inassumibile nello psicofarmaco.
Né fisiognomica né caricatura, l’espressione giova alla tipografia della sembianza.

Ecco Paesaggio, del 1967: palinsesto, dove nulla si sovrappone a nulla, dove nulla è potenziale e dove la stratificazione registra la scrittura della memoria.

Ecco, ora, gli Ombrelloni, del 1968: il cielo, il mare, la terra, la collina, la pianura, la valle, il Nudo, 2003, acquaforte, cm 50x70 (360) 18 monte, la vestizione di universi impossibili, i paesaggi della Pentecoste si fanno poesia e biografia del paradiso.

Del 1970, Nudi bianchi: come il bianco non compie l’economia del nero, come la vita non è il colmo dell’economia della morte, come il corpo e la scena si combinano nel capitale intellettuale, senza supportare il concetto di organismo.

E ora avete, dinanzi, Ritratto, del 1970: paesaggio sessuale, quindi scritturale, della saga. Quando mai, come con l’opera di Sandro Trotti, la sessualità è così nettamente intellettuale? L’enigma resta. L’enigma della differenza e della varietà. E non c’è più significazione. L’avvenire si celebra sul programma di vita. [...]

 
 
 
 
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